Chi tristi sorti ‘nta lu me caminu, d’ogni spiranza sempri m’alluntanu, mi sentu veramenti sularinu prima vulavu comu un aeruplanu; di nomu mi chiamavanu mulinu taliatu di vicinu e di luntanu e mantinutu beddu e stimatu chi veramenti mi sintia priatu.
Ora mi riducivi abbannunatu, qualcunu la sò culpa ci l’avutu, né mura tuttu frariciu e allupatu lu lignu ‘nta lu focu fu jardutu; nun c’è pirsuna chi s’ha ntirissatu facennu usu di menifreghismo cu divirtuti e facennu vampati, carni arrustennu e li pisci salati.
Poi m’hannu fattu li gran vastasati ognunu ha fattu comu ci ha piaciutu ci curpa chi li tempi su canciati, lu progressu purtau lu meccanismu: li carburanti vannu rigalati? s’avissi a ‘ntirissari lu turismu chi ‘ntervenissi cu tanta attinzioni pi’ farimi rimettiri ‘n funzioni.
Vennu turisti di tanti nazioni si divirtissiru a fotografari vinissi poi misu all’espusizioni; qualchi premiu lu putissi pigghiari. Ricordu d’una antica tradizioni cu’ vinticeddu putissi jucari ammenu dassi lu me rindimentu e mi chiamassi arré Mulinu a ventu.
Per info e prenotazioni visite guidate: [ Tel. Rossana: 320 7961240 | Mail: salinacalcara@gmail.com ] [ Sito: www.salinacalcarapaceco.eu ]
In passato, rispetto ad oggi, nelle saline vigeva un ben definito sistema gerarchico; esso era costituito da uomini che rivestivano delle specifiche mansioni ed espletavano ruoli diversi nell’ambito della stessa gerarchia.
Il gruppo dei salinari era caratterizzato da circa 35 operai; il coordinatore, chiamato “curatulu”, che godeva della fiducia dei proprietari, amministrava e sorvegliava gli impianti e i lavori. L’intervento del “curatulu” all’interno della salina era annuale, pertanto egli rientrava nella categoria degli “annalori”, veniva retribuito mensilmente, e usufruiva dell’abitazione per la sua famiglia e di una indennità di circa 20 centesimi per ogni salma di sale prodotta, chiamata “mazza a tumminu”. Quando la salina era piuttosto estesa, era necessario oltre che il “curatulu”, anche un “suttacuratulu”, che lavorava o per tutto l’anno o solo per il periodo di raccolta del sale. Un’altra figura nota nella gerarchia della salina era il “mulinaru”, colui che era addetto alla manutenzione e al funzionamento del mulino olandese “mulinu a stiddra”. Questi, all’inizio della primavera, legava le pale di legno “‘ntinni”, procedimento che era chiamato “arbulari u mulinu”, poi vi attaccava le vele “‘mpaiava” e alla fine le allargava “‘ncucciava”, disponendole sulle varie pale e orientandole in direzione del vento “purtari u mulinu a ventu”. Il ruolo del “mulinaru” era di estrema abilità, infatti bisognava intuire la direzione del vento e orientare il mulino; questo lavoro si prolungava per tutto l’anno, pertanto, il “mulinaru” rientrava nella categoria degli “annalori”. Procedendo per gerarchia, troviamo gli operai che venivano assunti all’inizio della stagione del sale, detti “staciuneri”, pagati mensilmente, che pulivano i canali, ordinavano le vasche, trasferivano le acque e componevano mucchi di sale “munziddruna”, coprendoli con delle tegole. Quando gli “staciuneri” non riuscivano ad espletare il lavoro della salina si ricorreva ad uomini di aiuto “omini d’aiutu”, tra questi vi erano anche gli apprendisti, cioè ragazzi di 14 anni che in gruppi di tre ricevevano il salario di due adulti, detti per questo “trippiddui”; vi erano pure i quindicenni che trasportavano il sale per mezza giornata e percepivano il salario al 50%, questi venivano chiamati “menzaiurnata”.
Vi erano altri operai addetti alla raccolta del sale che lavoravano a cottimo, chiamati “omini ‘dda venna”; essi si distinguevano in tre partitara ed un aiutante per ogni casella, con il compito di frantumare il sale ed accumularlo. Altri operai erano coloro che raccoglievano il sale con le pale “palitteri” ed altri con le ceste “cattiddrara”; infine c’era un altro aiutante che, con una “spiriceddra”, riversava l’acqua nelle “caseddri” in una retrocalda (vasca), detto “assummaturi d’acqua”; vi era anche un operaio “pitiniaru”, che raccoglieva quella minima quantità di sale detta “pitinia”, che rimaneva alla base di ogni “munziddruni” dentro la casella; ancora c’era un uomo “tavularu” che disponeva di tavole di legno “tavuluna” che metteva tra l’“ariuni” e il cumulo, dove i salinari salivano per svuotare le ceste di sale; altra figura nota era il ragazzo “acqualoru”, che distribuiva l’acqua da bere contenuta in un recipiente di terracotta, detto “quartara”. Per ultimo restava il ragazzo “baddaronzularu” mandato dagli “staciuneri” come riconoscenza al “curatulu”. L’ultima figura della scala gerarchica della salina era “u signaturi”, che contava le “catteddre” di sale trasportate sull’“ariuni”. Questi segnava sulla “tagghia” le “sarme” (ogni salma era costituita da venti chili di sale); inoltre “u signaturi” comunicava al “curatulu” quanto sale era stato raccolto per ogni “caseddra” e poi azzerava la “tagghia”. Purtroppo, oggi, questo tradizionale sistema gerarchico si è sfaldato, trascinando con sé tutto il duro lavoro ed il sacrificio degli uomini che in passato diedero un importante contributo all’universo umano della salina.
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I canti di lavoro dei salinari sono delle filastrocche in dialetto svolgenti l’importante funzione di ritmare le operazioni collettive e contabilizzare le unità di prodotto accumulato.
Ora cu l’havi salalina na cantatedda fazzu di matina, circannu di quariari; tri iddu nn’havi, forza, picciotti mei, e sunnu sei. Ti manciasti li sicci e li muletti si cuntu li cartelli fannu setti. Talia quantu è beddu stu picciottu aisa e metti ‘n coddu e suunu ottu, mi pari c’un si movi e nni fa novi; aisu puru a cartidduzza mia durici vacunedda haiu a la via, ma di comu firria lu canali a to calata quattordici nn’havi. Oh darreri nn’haiu quinnici vegna, picciotti mei, nn’avemu sirici. Assira si mangiaru ‘u purpu cottu allestiti a acchiappari e dicirottu; e ora accabbamu e un nn’haiu chiui forza picciotti mei, e su’ vintirui. Salarini, nn’avemu vintitrini certu ch’è veru mattu vintiquattru, chista di vinticinqu la tagghiari e la dicina è lesta e ‘a lassu stari. E tagghiari vulemu a vuci longa e chiamari vulemu la Madonna. Madooonaaaa…
Mentri semu ‘ncumpagnia ‘nta sta santa matinata pi’ purtari l’armunia, jò mi fazzu sta cantata.
Mentri cuntu li carteddi cu sistema di salina caminannu picciutteddi ni scuzzamu sta dicina.
Cu stu sali di salina, mi divertu a lu cuntari, comu a tagghia è bedda china semu pronti pi’ mangiari.
Semu quasi tutti stanchi, soccu à dittu nun mi pentu e chiamamu a centu salmi a lu santu Sacramentu.
Comu nostra divuzioni misi a forma di culonna pi’ na bona culazioni ni chiamanu la Madonna.
Le Saline della Sicilia occidentale comprendono essenzialmente quattro ordini di vasche dalla forma rettangolare irregolare, dovuta alla conformazione naturale del luogo, e le cui grandezze e profondità diminuiscono all’aumentare dell’ordine stesso; inoltre il numero delle vasche varia in funzione del territorio di ogni salina e della produzione a cui questa mira. Viste dall’alto, o su di una piantina, si presentano come una scacchiera variopinta con bacini separati gli uni dagli altri da canali. Il primo ordine di vasche comprende la “fridda”, un’ampia e profonda vasca separata dal mare da una doppia fila di conci di tufo “cantuna” di Favignana, legati e isolati da fango, che prende il nome di “traversa”. Nella “fridda” che può trovarsi in prossimità del mare oppure distanziata da questo, ma collegata tramite un canale, l’acqua entra dall’apertura di una chiusa “putteddra” sfruttando il gioco delle maree. Al secondo ordine appartengono i vasi di “acqua crura” o retrocalde e il “vasu cultivu o di guvernu”. Nei primi, l’acqua proveniente dalla “fridda” viene pompata dal mulino a vento poichè il loro livello è superiore a quello del mare. In queste vasche, per effetto dell’evaporazione spontanea dell’acqua, la salinità aumenta passando dai 3,5°-4° Bè agli 8°-10° Bè. Il “vasu cultivu” ha funzione di riserva, in quanto l’acqua, detta “acqua matri”, in esso contenuta svolge la funzione di diluente, quando nelle vasche successive i sali precipitano anticipatamente, e di lievito per le campagne seguenti. Le sue acque hanno una salinità di 10°-12° Bè.
Nelle vasche appartenenti agli ordini appena elencati viene praticata la piscicoltura, poiché in esse il grado di salinità è prossimo a quello del mare, consentendo così ai pesci di svolgere il loro ciclo di vita in un habitat quasi naturale. Al terzo ordine appartengono le vasche mediatrici, dette appunto “ruffiana e ruffianeddra” per la loro posizione intermedia tra il “vasu cultivu” e le “caseddri”, unite tra loro dal “canale d’acqua crura”, in queste vasche la salinità raggiunge i 16° Bè. L’ultimo ordine è costituito dalle vasche “cauri”, in cui “l’acqua fatta”, attraverso il processo di evaporazione, raggiunge unsa salinità pari ai 18°-20° Bè. Intanto che l’acqua fatta passa da una caura all’altra, dalle dimensioni sempre minori, deposita i sali addensati riducendo il proprio volume. Accanto alle “cauri” troviamo le vasche servitrici “sintine”, introdotte in tempi più recenti, per l’equa distribuzione dell'”acqua fatta” nelle caselle salanti, qui il grado di salinità raggiunge i 22°-24° Bè. Ai quattro ordini di vasche seguono le caselle salanti, dette “caseddri”, in cui la salinità è di 25°-26° Bè, che si distinguono dalle precedenti per la loro forma quadrilatera regolare, dal fondo piano ed impermeabilizzato, disposte l’una accanto all’altra e affiancate da uno spiazzo “ariuni”, dove viene accumulato il sale raccolto nelle “caseddri”. Separano una vasca dall’altra i “vrazza” (argini) aventi le stesse caratteristiche della “traversa”, ma di larghezza e altezza minore. Nelle vasche appartenenti agli ordini successivi al secondo, l’acqua giunge alle vasche sfruttando la prendenza naturale del suolo e non più il mulino a vento o le pompe.
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